di Giampiero Remondini
A chiudere col botto il mese più grigio dell’anno penserà una Compagnia del Gabbiano rinnovata, in parte, nei suoi componenti, eppure identica a quella che nel 2006 mise in scena “Il cigno che vola”, la prima rappresentazione teatrale che coinvolgeva volontari e amici del sabato. La data da segnare sul calendario è quella di sabato 30 novembre alle 16,30 e stavolta non saremo nella nostra Sala Azzurra, ma nella sala teatrale della Parrocchia Sant’Anselmo da Baggio. Lo spettacolo è una rivisitazione de “Il filo invisibile”, la rappresentazione che ha visto la luce nel maggio 2023 e che è stata inserita nel cartellone della Civil Week sia in quell’anno che nel 2024. In un’intervista di qualche anno fa, Gianfranco Ravasi definiva proprio così la disponibilità interiore permanente alla solidarietà: un filo invisibile. Cioè un filo che lega tutti i tempi della giornata, rendendoli, di fatto, un tempo unico: quello dello studio e quello del lavoro, ma anche quello della famiglia o quello dedicato alle amicizie. Se così non fosse, ci diceva, se tutti i tempi della giornata non fossero attraversati da quel filo, saremo donne e uomini a compartimenti stagni: magari solidali il lunedì, in un contesto, e poi spietati il martedì in un altro. Lo spettacolo evoca questo pensiero, che per la sua raffinatezza ha fatto breccia vent’anni fa al Gabbiano, riconducendolo però su binari di leggerezza. Questo grazie alla competenza di Patrizia Battaglia, che ci segue da sempre, di Livia Rosato e di Claudio Madia, i tre conduttori del laboratorio teatrale. Niente monologhi, niente simposi, ma piuttosto piume. Piume e pagine da giornale da sventolare. E poi anche carta colorata ripiegata a forma di farfalla e poi di nuovo piume. La leggerezza è il mood di questo spettacolo e non può che essere così, vista l’atmosfera che si crea dall’incontro tra volontari e amici del sabato. E’ un incontro di cui il pubblico potrà gustare l’effetto sabato 30 novembre, appunto, a differenza dei volontari che ne hanno potuto vivere l’intensità durante ogni sabato di prova.
Ecco un altro aspetto sostanziale. Lo spettacolo, l’adrenalina, il dietro le quinte, gli applausi, l’inchino finale sono elementi (emozioni?) che arricchiscono certamente chi sale sul palcoscenico, ma poi c’è tutta un’energia che scorre, appunto, in ogni singolo attimo in cui ci si incontra. Quell’energia è il collante per riuscire a costruirli insieme i quaranta minuti finali. L’evento finale è una tappa che restituisce mille attimi di preparazione, ma quegli attimi hanno lo stesso identico peso nel progetto, perché sono proprio “loro” a costruire la relazione. Che in fondo è il senso ultimo dello stare al Gabbiano. Lo scambio di sguardi tra un volontario e un suo amico del sabato, la commozione impossibile da trattenere nel sentire una musica e nel riuscire a fare il movimento giusto nonostante il cuore batta forte. E poi ancora la risata, la consapevolezza di essere individui tutti diversi, eppure capaci di muoversi come gruppo con un obbiettivo comune. Per non dire del coraggio e della disponibilità a esporsi con i propri limiti davanti al pubblico, invece che riparare all’ombra della propria zona di comfort. Chi in questi compagni di strada vede solo il limite, senza riuscire a beneficiare di tutto quello che hanno da insegnare, si perde tanta roba. Dal “Cigno che vola” del 2006, quando Teresa contribuiva a muovere le sagome nel teatro d’ombre, fino a “Il filo invisibile” del 2024, è cambiato tutto, ma in fondo la trama è rimasta la stessa.