Nel tuo letto d’ospedale sbuffavi come una maratoneta. Con l’ossigeno, la testa reclinata sulla sinistra, addormentata. Eri al traguardo, però solo nel fisico. Qualcosa dentro di te aveva superato di slancio l’aggravarsi della malattia e aveva già ripreso a correre per portare la comunione a un anziano, ad aprire la porta per farsi carico del peso di una persona amica. Qualcosa, dentro di te, stava ancora organizzando il compleanno di uno dei “nostri ragazzi”, il sabato pomeriggio al Gabbiano: in piazza sant’Apollinare, in via Dalmine, in via Ceriani.
Avevi due occhi verdi in cui era naturale perdersi e una determinazione gentile ma feroce, camuffata dentro una figura esile. Chi ti conosceva davvero, però, non si faceva fregare. Ti ricordo come indistruttibile. Avevi un sorriso accogliente, non arrendevole, e l’hai donato con uno sforzo tremendo anche da quel letto, prima che la stanchezza prendesse definitivamente il sopravvento.
Teresa, eri di tutti perché in tutti vedevi qualcosa di grandioso, molto più di una persona con le sue piccole miserie. Detestavi il pietismo per la persona con disabilità. Pretendevi che ciascuno dei nostri amici si comportasse da uomo o da donna, e che come tale venisse considerato.
Per me eri una donna bellissima, i canoni di bellezza non li decidono in televisione. La tua bellezza, anche a quasi 90 anni, era nel coraggio, nella determinazione, nella leggerezza, nelle rughe di espressione, nel tuo maglioncino azzurro a coste:
“Teresa, fa freddo, ma dove vai? Metti il giubbotto, se vai di là!”
“Sì… sì… ecco… sì… vado solo un momento al centro ascolto”
La tua bellezza era nel tuo vivere gioiosamente fuori dagli schemi. Nel mettersi in gioco facendo teatro fino a pochi anni fa, nel condividere una risata improvvisa e un abbraccio senza motivo.
Era nella naturalezza frenetica del tuo donarti e nell’accogliere senza condizioni chi faceva più fatica. Senza orari, senza calcoli, senza sosta, senza mai considerare la “tua” fatica. Costi quel che costi. Teresa, eri un bellissimo fiore sovversivo, immune da egocentrismo e vanità. Conoscevi perfettamente la tua direzione e infatti l’hai percorsa. Hai vissuto la tua fede cristiana ad anni luce dai formalismi: in Chiesa e poi sul campo, dimostrando che è possibile farlo.
Hai dato il via al gruppo H, che poi sarebbe diventata l’Associazione Il Gabbiano: noi come gli altri, andando a prendere in casa le persone con disabilità e portandole fuori, in mezzo agli altri. Tutto per quella lettera pubblica del Cardinale Martini che hai citato mille volte. Se tutte le persone che hai aiutato, o anche semplicemente ascoltato, fossero ancora tra noi… se ci fossero ancora tutte le persone che ti hanno voluto bene, non sarebbe bastata la Chiesa di Sant’Apollinare per l’ultimo saluto a te, giovane novantenne, granitica e un po’ matta. Così convinta che gli “ultimi” sono quelli che più di tutti hanno da insegnare, se solo si trovasse il tempo di ascoltarli, da convincere anche noi.
Con Giacomo sei stata una delle due insostituibili ali del “nostro” Gabbiano. Non potrà mai più essere la stessa cosa. Lo sappiamo, ma tocca lo stesso a chi rimane riprendere il volo e non disperdere la ricchezza che hai regalato.