Rompere l’assedio del Covid restando volontari del Gabbiano. Anche Giampiero accoglie l’invito lanciato da Tiziana e avviato da Giacomo. Ecco il suo racconto della videochiamata a Massimo. Stiamo per rimetterci #dinuovoinviaggiocolgabbiano

————————————-

Buona l’idea. Decido anch’io di seguire l’esempio di Giacomo e chiamo Massimo, che vive in una struttura milanese. Devo dire che per telefono, soprattutto in videochiamata, è tutto più strano, per certi versi pure comico. L’istinto, infatti, è di ripetere gli stessi rituali del sabato pomeriggio: lui arriva, inizia ad allungare le braccia verso di me già dal vialetto, mi chiama e lo chiamo (“Giampiero! Massimo!”), fa il suo sorriso istrionico, mi abbraccia, rido perché mi fa troppo ridere, mi dice “Che cacchio ridi?”, poi ride pure lui più di me, mi riabbraccia, cerca conforto perché stavolta gli fa male qualcosa, ma-stavolta-per-davvero, poi ride di nuovo, balla, canta “Piccola Katie” facendo finta di avere il microfono”, cerchiamo il petrolio piegandoci in avanti che magari con un po’ di fortuna lo troviamo e si diventa ricchi. E poi va in cucina a preparare qualcosa con Alfredo. La normalità è relativa, questa è la nostra. In videochiamata tutto diventa sorpresa, anzi incredulità, saluto, sorriso che si apre, silenzio, commozione, di nuovo sorpresa, mani che si chiudono davanti agli occhi e poi di nuovo qualche parola: “Sabato vengo al Gabbiano!”. “Eh, Massimo, c’è il virus, bisogna aspettare ancora un po’, ma ti chiamo ancora!”. L’immagine che ho del volontariato al Gabbiano al tempo del Covid è quella di lui che si avvicina al suo smartphone e lo bacia mentre io vedo la sua fronte e i capelli a spazzola sostare per diversi secondi sul mio. Non abbiamo idea di quanto possa regalare un piccolo gesto, come una telefonata, pur sgranata o “rallentata” che sia.