Specialissima Paola Berger. Ha regalato consapevolezza e amicizia. Quindi per lei ci sono ben due testimonianze: una di Giampiero qui sotto e una di Giacomo qui:
https://www.gabbiano.org/quello-che-ci-ha-regalato-paola-b…/
Dobbiamo fissare bene la nostra idendità, cioè chi siamo e da dove veniamo, per rimetterci #dinuovoinviaggiocolgabbiano. Altri diari di viaggio stanno per arrivare.
Teresa, dove sei? Serviresti tu a raccontare la Paolona, che l’hai conosciuta fin da ragazzina. Non c’è più da anni, ma io la rivedo lo stesso, incredibilmente in alta definizione, come fosse ieri, nel mio primo giorno di volontariato, che è stato il sabato dopo l’Epifania del 1995. Sono entrato nel salone di piazza Sant’Apollinare e dopo un po’ mi è venuto incontro un ragazzo down, con la carnagione molto chiara, che prima mi ha scrutato, poi mi ha dato la mano: mi chiamo Elvio. “Ma guarda che strano tipo “, ho pensato di quello che sette anni dopo sarebbe diventato il mio testimone di nozze e uno dei miei migliori amici. Poi ho notato lei che mi guardava.
Era seduta su una sedia appoggiata al muro. Gli occhi erano due fessure, tanto che mi chiedevo come faceva a vedermi. Aveva una frangetta nera pettinata. Forse aveva le braccia conserte. Può darsi dondolasse un po’. Ho realizzato in pieno la sua forza, quando si è alzata per venire verso di me. Nonostante non fosse proprio una gazzella, la Paola aveva uno scatto felino e io ho dovuto spostarmi per non farmi travolgere. Ho avuto un brivido lungo la schiena. Non che fossi abituato ai salotti secenteschi, venivo da anni di stadio col Milan, capirai, ma uno smarrimento così non lo conoscevo.
Non ho realizzato subito di essere al “mio” posto, al Gabbiano, no davvero. Ma poi ci sono tornato, in quello strano posto. Anche nei sabati successivi. Così, poco alla volta mi sono avvicinato e ho potuto vedere da vicino gli occhi della Paolona. Erano gli occhi di una volpe che sapeva perfettamente di metterti in difficoltà in quel modo. Occhi bellissimi, di un colore che non riuscivo a definire, scuro però non nero. Dietro c’era infinitamente di più di una persona “da aiutare, poverina”. Me la ricordo guardare avanti, come per dire, vabbè ok adesso basta, andiamo oltre, dopo aver incrociato un po’ il mio sguardo. Era furba, ma dire “furba” non rende abbastanza. Metteva su ghigno per niente cattivo, semmai divertito nel vederti in difficoltà. Quando recuperava una caramella si sedeva, la scartava e sorrideva alzando un po’ il mento, quasi a godersi in pace la conquista.
Diceva “Pihha”, con le “h” aspirate, perche amava la pizza, ma non la lettera zeta. Richiamava in qualche modo l’attenzione sul “bus” per essere rassicurata con forza sul fatto che non fosse ancora il momento di andare a casa. Nei sabati e negli anni successivi, se doveva tirarmi per mano da qualche parte lo faceva e io cercavo di trattenerla, quasi mai riuscendoci. Unica e irripetibile, sfuggente e ironica. C’erano le difficoltà, guai a negarlo, ma c’era anche molto altro.
“Sono fortunata – mi ha confidato un giorno la mamma Sonia -. Pensa se mi fosse nata una figlia velina”.
Quanto è vero Sonia, l’hai scampata bella. Le veline passano… lei, con tutto quello che ha rappresentato, come vedi, è sempre qui con noi.
Giampiero Remondini