Gli incontri si proponevano di approfondire la conoscenza della legislazione sia degli enti locali (il Comune in particolare) che del mondo del non profit, affrontando anche tematiche legate alle modalità comunicative all’estemo ed all’interno delle organizzazioni di volontariato. Ecco la considerazione di partenza: spesso tra gli individui sorgono difficoltà di comunicazione e quindi di interpretazione degli innumerevoli messaggi che ognuno di noi recepisce dall’altro. Da qui si è giunti alla valutazione di un problema che riguarda i gruppi di volontariato in qualsiasi settore. Che si tratti di handicap o di tossicodipendenza, di anziani o di sanità, questi gruppi sono identificati come sistemi o entità in cui vigono una serie di norme. Non solo. I “confini” che si registrano non sono altro che canali di comunicazione che permettono a qualsiasi gruppo di avere rapporti con l’esterno. All’interno del gruppo è bene che si instauri una strategia comunicativa, un codice semantico comune a tutti coloro che appartengono al sistema per evitare incomunicabilità e per agire nella medesima direzione e quindi nel sostegno a quel particolare caso. All’esterno, invece, è importante costituire un “lavoro di rete”, ovvero una sorta di collaborazione e interazione tra i vari Servizi Sociali e i gruppi, in modo da far fronte ai bisogni di tutti i cittadini. E a proposito di rete, si possono certo individuare diversi tipi di lavoro, ma quello su cui si è posta l’attenzione è il network di servizi pubblici e privati di volontariato, cioè tanti soggetti che si mettono in relazione per aiutare l’utente. Partendo perciò dal presupposto che la società da sempre cerca di soddisfare le esigenze degli individui, con un breve percorso storico notiamo come oggi i servizi sociali, definiti come “insieme di offerte” per il cittadino, siano più numerosi perchè sono differenti i bisogni della comunità. Per approfondire questo concetto è però necessaria una parentesi tecnica. I cambiamenti sono dovuti anche ad aspetti legislativi (legge del 1975 sulle tossicodipendenze, legge del 1978 sulla psichiatria, legge del 1980 sull’handicap ecc.) e culturali (sviluppo di nuove professioni, di culture organizzative, amministrative ecc.). Quindi, il quadro che risulta dall’ultimo decennio è quello di una forte diversificazione dei servizi sociali sia di natura pubblica che privata. Nel settore pubblico si è avuto. un rilevante aumento delle USSLche, insieme ai Comuni, costituiscono dei progetti per impedire la frammentazione dell’offerta; nel settore privato invece sono comprese, oltre alle organizzazioni di volontariato, alle associazioni ed alle fondazioni, anche le cooperative sociali la cui continua diffusione è giustificata dalle crescenti esigenze della comunità, che il settore pubblico da solo non riesce più a contenere: la novità introdotta ha una connotazione di tipo socio-economico e cioè con mezzi privati si perseguono obiettivi pubblici. Con la legge 381/1991 e la legge regionale 16/1993 sono state g’iuridicamente definite le cooperative sociali analizzandone i rapporti interistituzionali, gli obiettivi e la tipologia. Si possono individuare due diversi tipi di cooperativa, il tipo A costituito da servizi socio-sanitari ed educativi ed il tipo B da attività agri¬cole, industriali, commerciali finalizzate all’inserimento lavorativo di persone svantaggiate. Infine con la legge regionale 22/1993 e 266/1991 è stata definita l’attività di volontariato ed il suo riconoscimento sociale, descrivendo anche l’iter amministrativo per giungere ad essere riconosciuti nell’albo della Regione in modo da godere della partecipazione alla programmazione regionale in tema di contributi finanziari, consultazione, informazione e della possibilità di stipulare convenzioni innovative o sperimentali e nuovi progetti aperti a proposte di rinnovamento sempre in tema di volontariato.
(Michela Santagostino)