Abbiamo parlato su queste pagine di vari problemi del mondo della disabilità e tra questi di quello fondamentale dei diritti. Uno dei diritti più importanti è quello ad una vita adulta autonoma che si coniughi con l’altro: quello ad una casa propria in cui abitare. Un abitare diffuso (microcomunità, appartamenti protetti) delle persone disabili non solo affermerebbe un diritto, ma aumenterebbe la nostra consapevolezza ed una cultura di civiltà nel rapportarci con gli altri. Avere un vicino di casa disabile che affronta autonomamente o quasi un percorso di vita, forse ci porterebbe a pensare che è uno “come noi” con qualche problema in più. Purtroppo,come sempre nel mondo della disabilità, i percorsi non sono autostrade ma sentieri di montagna con cui si raggiunge la meta faticosamente ed in tempi non certo brevi. Questo scenario è emerso nell’incontro “Reti in cantiere: costruire insieme percorsi di vita autonomi”, che si è tenuto lo scorso novembre presso la Provincia di Milano. Il problema della residenzialità è stato discusso evidenziando le sue difficoltà e le sue prospettive.
Ombretta Fortunati, consigliera delegata della Provincia di Milano, ha innanzitutto illustrato lo stato di fatto a Milano e provincia in materia. Due sono i principali riferimenti attuali:il Progetto Spazio Residenzialità (www.spazioresidenzialità.it) ed il Tavolo sulla Residenzialità. Il primo è un catalizzatore delle informazioni (segnalazione delle procedure di ammissione alle strutture esistenti, gestione delle spese personali dell’ospite, ecc.) ed un luogo in cui mettere in comune le risorse delle associazioni. Il secondo è il tavolo istituzionale (Provincia, Comune, Terzo Settore) che deve fare da filo conduttore per la progettazione pratica degli spazi, per la messa in comune e la valorizzazione delle esperienze acquisite, per la programmazione. Importante è fare una politica di passi piccoli ma concreti. Un problema fondamentale è poi il sostegno alle famiglie nel momento in cui scelgono una diversa residenzialità per i loro figli. Il momento è certamente drammatico perché non sono preparate sia da un punto di vista psicologico che pratico ed economico. Bisogna perciò creare percorsi stabili e consolidati che diventino cultura comune per tutti. Maria Villa Allegri, dell’ANFASS Lombardia, ha asserito che è sul profilo regionale che ci si confronta per il modello welfare. Bisogna promuovere il lancio del progetto regionale di legge per la presa in carico della persona disabile ed avviare la campagna regionale per “pagare il giusto”. Attivare cioè strumenti che possano permettere ad esempio affitti agevolati ed incentivi che evitino il rischio di impoverimento. La residenzialità ha bisogno di politiche abitative programmate che mantengano le condizioni di vita materiale delle famiglie. Va inoltre riaffermato il principio che la disabilità non è solo un fatto privato, perciò la presa in carico della persona disabile è un fatto pubblico. Ci deve essere una trasformazione radicale dell’idea di presa in carico passando da un ottica medica ad una inclusione sociale (diritti di cittadinanza piena e quindi anche di autonomia abitativa). Diletta Coletti, sociologa dell’IRSE, ha anch’essa messo l’accento su un sistema di walfare che non sia frammentato ma sia un sistema di comunità, poiché le richieste sono tante ma le risorse poche. Si deve progettare quindi un fondo unico per la non autosufficienza. La regione Friuli-Venezia Giulia ha costituito un fondo per l’erogazione economica che permette progetti di vita autonoma con una progettazione mista pubblico-privato. Grabiella Achilli, consigliera comunale di S.Donato Milanese, ha puntualizzato il ruolo degli enti locali. Bisogna partire dai bisogni di un territorio definito per operare una progettazione ottimale, definire un bacino di utenza idoneo. Bisogna che gli enti locali nei piani per la casa recepiscano i problemi della residenzialità dei disabili. Ci deve essere un patto con gli amministratori creando un manuale di buone prassi; la burocrazia diminuisce se chi fissa le regole partecipa all’elaborazione dei problemi. Essenziale è inoltre una programmazione iniziale per la gestione e la sostenibilità economica. Strumento interessante, ma difficile e non consolidato, per loro attuazione è la Fondazione di partecipazione. La regione Toscana ne ha fatto un modello operativo per le istituzioni no profit. Monica Villa, della Fondazione CARIPLO, ne ha illustrato i programmi.