C’è un momento, nella vita di un’associazione, in cui si prende per forza coscienza che l’attivismo sul campo non basta e che ci sono altri fattori che giocano un ruolo altrettanto rilevante. Come ad esempio la qualità della gestione amministrativa. E’ un punto di svolta, perché si realizza che senza una solida preparazione in quel settore, la propria azione perde efficacia, ma allo stesso tempo si è consapevoli di non avere quella preparazione. Nessuno può essere “tutto”. Uno dei primi campioni del non profit a trovarsi davanti a questo bivio fu Don Renato Rebuzzini, che alcuni ricorderanno come prete di Sant’Apollinare. Nella Parrocchia lui ospitava una piccola comunità per tossicodipendenti. Era il decennio tra il 1967 e il 1976 e allora perché, oggi, vogliamo parlare di lui? Perché nella sua figura si incrociano diverse direttrici attualissime e più che mai in relazione con la vita del Gabbiano, ecco perché. Intanto una premessa evidente. Lui è stato l’espressione di una Chiesa impegnata nella vicinanza attiva agli emarginati, in linea con altre grandi figure del Novecento come Rigoldi, Gallo, Ciotti, Milani, Gnocchi, Puglisi, per citarne alcuni in ordine sparso. Oggi è più difficile riconoscere quegli stessi slanci e la conseguenza è una diminuita capacità della Chiesa di coinvolgere i giovani nella costruzione di princìpi (e azioni) non ripiegati sulle leggi di mercato, dove lo spazio per la condivisione e il senso di appartenenza a una comunità sono sempre più ridotti. Don Renato era riuscito a coinvolgere una generazione di ventenni nella costruzione di una cooperativa sociale che avviava al lavoro soggetti tossicodipendenti prima, detenuti con pene alternative poi, ampliando successivamente il raggio d’azione anche alle persone con disabilità fisiche. Oggi tutti parlano di “inclusione”, quasi sempre per un patinato conformismo dialettico, ma più di quarant’anni fa agire in quella direzione era da veri visionari. Lui aveva capito l’importanza di riconoscere un ruolo a chi lo aveva perso, o a chi non lo aveva mai avuto. Ma il punto vero è che negli anni ‘80 quel sogno si stava concretizzando grazie alla collaborazione di tanti giovani, ai quali, pure, aveva dato un ruolo attivo nella quotidiana costruzione di una normalità non rassegnata. Tra quelle persone c’erano il cugino Riccardo Rebuzzini, vero motore manageriale della prima cooperativa sociale di inserimento lavorativo, la Poliart, e Massimo Caniggia, attuale presidente di Urbana, una delle cooperative nate da quell’esperienza. Ed eccoci al collegamento: dai primi anni 90 Urbana è la cooperativa che segue a 360 gradi l’aspetto economico-contabile dell’associazione Il Gabbiano. Sono loro che ci informano sulle novità legislative e sugli adempimenti di legge (il tutto poi è coordinato della nostra volontaria signora Maria). Pur avendo diversi clienti profit, Urbana è infatti specializzata proprio nella gestione dell’amministrazione di realtà non profit. Nei passaggi critici dell’associazione, Urbana ci ha indicato la strada giusta per mantenere lo spirito volantaristico senza perdere di vista gli aspetti burocratici che le Istituzioni impongono anche a realtà come la nostra. Questo elemento introduce una delle sfide vitali di chi opera nel non profit: continuare a “sentire” la propria componente solidale, chiamiamola così, rinunciando a scorciatoie che inevitabilmente portano verso derive più mercantili. Noi stessi abbiamo dovuto accettare qualche sconfitta, come quando siamo stati costretti a occupare il decimo posto di Casa Teresa Bonfiglio senza più lasciarlo vuoto e quindi disponibile per le sperimentazioni, che era qualcosa in cui credevamo molto. Ma un conto è accettare la forza delle logiche di mercato, un conto è cavalcarle consapevolmente e qui sta la sfida che Don Renato aveva avviato dando vita alla cooperazione di cui Urbana è, appunto, l’attuale emanazione.
“L’art 1 della legge 381 sulle coop sociali dice che queste devono perseguire l’interesse generale della comunità rispetto al profitto – spiega il presidente Massimo Caniggia -. Ma rispetto alle associazioni le coop hanno perso moltissimo. Troppo spesso, infatti, hanno messo la logica mercantile davanti agli ideali per cui erano nate”.
Sono argomenti che non possono risolversi in un articolo e infatti li riprenderemo. Oggi ci piaceva ricordare la figura di Don Renato e di Urbana, una sua eredità che ci accompagna da oltre trent’anni.
Giacomo Marinini
Giampiero Remondini
A proposito della coop Urbana ricordiamo la scelta di inserire anche categorie svantaggiate e, perché no, la loro sfida attuale, che passa per la ricerca di nuovi spazi (150/200 mq) e di nuovi “clienti” nell’ambito dei servizi amministrativi, a partire dai 730 anche presso sedi esterne. Hanno sede in via Carlone 2, zona Bande Nere. Gli interessati possono contattarli al 3485404661 (Vincenzina Mancini) oppure la mattina in ufficio allo 0248370137. |