Li chiamiamo “handicappati”, eppure se non sentono il desiderio di approfittare della bacchetta magica, significa che non stanno molto peggio di noi. Che siamo normali. E quindi razionalmente impegnati a cercare nel Superenalotto la soluzione di tutti i problemi. Intanto è venuta a trovarci Daniela Nardini, autrice fiorentina di “Un bambino davvero speciale”. Ne abbiamo parlato a novembre, vi ricordate? Il Gabbiano l’ha ospitata nel fine settimana immediatamente precedente il Natale, insieme al marito Carlo e al figlio Tommaso. Nell’iniziare il 1999 proponendovi la sua lettera, speriamo che almeno uno, su cento di voi che la leggeranno, senta il desiderio o la curiosità di leggere l’umanissima storia di un bambino e di una famiglia veramente speciali. Chi fosse interessato può ordinarlo attraverso il Gabbiano.
Grazie, Babbo Natale, grazie di cuore per il bellissimo dono che mi hai fatto trovare sotto l’albero. E’ una cosa stupenda, da lasciare a bocca aperta, una bacchetta magica tutta scintillante di polvere di stelle. E’ vero, è usata e quasi da rottamare, visto che porta con sé la possibilità di esaudire un solo desiderio, ma è comunque bello pensare che tra tutte le mamme del mondo tu abbia scelto proprio me per questo dono così particolare. Un desiderio è poco – quanti me ne verrebbero in mente! – ma proprio perché è uno solo è importante che non venga sprecato, bisogna pensarci bene per non trovarsi poi adire: ho chiesto la cosa sbagliata, avrei potuto chiedere tante altre cose più importanti e invece mi sono lasciata prendere dall’impulsività e dall’entusiasmo del primo momento e ho sprecato il mio unico desiderio. Devo guardare in fondo al mio cuore e tirare fuori quello che c’è di nascosto nell’angolino più buio, quello che a volte mi sono vergognata perfino di pensare. Ed allora vorrei … vorrei… mi sembra banale e scontato … vorrei che Tommaso fosse un bambino come gli altri, che si alzasse una volta per tutte da questo passeggino sempre più somigliante ad una sedia a rotelle e si mettesse a correre, ad andare in bicicletta e a giocare a pallone come fa Francesco, che prendesse quattro alle interrogazioni di matematica e poi, sempre come Francesco, riuscisse a convincermi che non è stato per colpa sua, perché non ha studiato, ma per colpa della professoressa che non lo capisce e ce l’ha con lui. A volte Tommaso, specialmente quando siamo a cena, si mette a frignare perché vuole essere preso in braccio. Allora Carlo gli dice: “Tommy, quando ho finito di mangiare ti prendo, ora no! Se non ti va di stare lì seduto, alzati e cammina!” Qualcun altro disse una volta queste parole ed a lui il giochetto riuscì. Magari la prossima volta che Carlo dice a Tommaso ”Alzati e cammina” potrei usare la mia bacchetta magica. Che ne dici? Sarebbe troppo bello’ Mi immagino la faccia di Carlo, stravolto dallo stupore e dall’emozione, nel vedere Tommaso che si alza dal passeggino e va a mettersi in piedi proprio davanti a lui, con aria di sfida. Ma no, meglio di no, potrebbe venirgli un colpo e restare stecchito e allora ci vorrebbe un altro desiderio, o meglio un miracolo, per farlo resuscitare. Avrei combinato un bel pasticcio. Avrei fatto guarire il mio bambino per renderlo orfano un attimo dopo. E poi, se improvvisamente mio figlio cominciasse a parlare, cosa potrebbe dirmi, di quello che non ha mai detto in quattordici anni? Il nostro linguaggio, così intenso e particolare, fatto di sorrisi e carezze, di occhiacci e di solletico, di bacioni con lo schiocco, dovrebbe lasciare il posto a parole mai dette e mai udite, da riempire di significati altrettanto profondi. Magari mi direbbe:
“La minestra di verdura non la voglio, me l’hai data da mangiare per forza, ma non mi è mai piaciuta” oppure “Perché mi hai lasciato sempre piangere tanto a lungo? Non ti accorgevi che avevo mal di pancia?”
Ed io improvvisamente mi renderei conto di non aver mai compreso i suoi segnali, capirei che quel linguaggio aveva un significato solo per me. Mi troverei improvvisamente di fronte un ragazzo che non conosco. Non sarebbe più quel cucciolo che per tanto tempo ho imboccato e vestito, che ho lavato ed accudito come un eterno neonato. Sarebbe come andare in un grande aeroporto, aspettare che arrivi un aereo da un paese lontano ed un’hostess che mi dica: “Buongiorno signora, questo è Tommaso, il bambino che aspettava”. E da quel momento dovremmo imparare a parlare la stessa lingua, dovremmo cominciare a conoscerci, a saggiare i nostri sentimenti l’uno nei confronti dell’altra. No, non sarebbe il mio bambino, sarebbe un bambino e basta a cui dovrei voler bene in un modo diverso. La mia vita condotta fino ad ora, la mia vita di mamma “handicappata” non avrebbe più significato, dovrei inventarmene una nuova. Caro Babbo Natale, credo di avere sbagliato tutto. Non è un bambino nuovo che voglio, rivoglio il mio bambino sognato.
Ed allora vorrei tornare indietro, vorrei averlo ancora dentro di me, come quattordici anni fa, quando la paura si mescolava alla speranza. Vorrei sentirlo ancora muovere dentro il mio ventre , riconoscere le gambette che scalciano e le manine che premono contro la calda parete che le divide dal mondo. Vorrei immaginarmelo ancora bello e biondo, pensare a come sarà da grande, a cosa diventerà, forse un dottore, magari un ingegnere. Vorrei ancora sognare e sapere che i miei sogni non si infrangeranno contro una realtà diversa. E cancellare in un colpo solo tante lacrime e tanta disperazione, la paura di un futuro incerto, cancellare quattordici anni di sacrifici, di sensi di colpa, di prezzi altissimi pagati ad ogni tappa del nostro cammino. Cancellare quattordici anni di vita. Di vita … sì, di vita, di quella vita che mi sono costruita pezzo per pezzo, come i frammenti di un puzzle che vanno ad incastrarsi uno accanto all’altro ed un po’ alla volta danno una forma al tuo quadro, delineano i contorni del tuo disegno. E in questo quadro, tante persone che mi hanno dato amore, che mi hanno aiutato a crescere, tanti occhi profondi come quelli di Anna, tanti sorrisi come quello di Angela, tanta tenerezza come quella che sa dare Max e la simpatia di Elvio, la timidezza di Roberto, i colori di Cristina’; volti di tanti ragazzi che cercano di spiccare il volo come gabbiani alla conquista della loro libertà. Ma il mio quadro ora è bello, è colorato, si è riempito di particolari delicati e di ornamenti che lo rendono prezioso ed io non voglio cancellarlo. No, caro Babbo Natale, non è questo il mio desiderio.
E allora sai che farò? Userò la mia bacchetta magica per mascherarmi da fatina il prossimo carnevale e trasformerò in principe il primo rospo che me lo chiederà. A pensarci bene, non desidero niente di diverso da quello che ho.
(Daniela Nardini)
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La bacchetta magica? La darei a qualcuno "che gli serve"