Presentazione al Teatro Officina su youtube https://www.youtube.com/watch?v=lb5vskJY2mA
“Non ho fallito duemila volte nel fare una lampadina. Semplicemente ho trovato millenovecentonovantanove modi su come non va fatta una lampadina”.
Chiunque voglia o debba occuparsi di autismo dovrebbe partire da questa frase di Thomas Edison che, senza la presunzione di riuscire al primo colpo, qualcosa di buono alla fine l’ha fatto. La citazione è a pagina 21 del libro “Io vivo altrove” nel quale Beppe Stoppa ha raccolto sedici storie di persone che conoscono il disturbo dello spettro autistico perchè ci hanno quotidianamente a che fare o perché lo vivono in prima persona. Cosa vuol dire “vivere altrove”? Beh, si legge che di certo non vuol dire essere malati. L’autismo non è una malattia da curare, piuttosto è una diversa condizione di vita, in cui differenti sono la modalità di pensare (più per immagini che con le parole) e di esprimersi. Diverse la modalità di recepire ed elaborare informazioni, emozioni e stimoli sensoriali. Diversa, e a volte incomprensibile, la molla che scatena un’emozione fortissima, ma identica, com’è ovvio che sia, la capacità di provare un’emozione. Identica l’ansia, praticamente nulla (o comunque molto limitata) la capacità di elaborarla e contenerla con i canoni socialmente accettati.
Le storie di “Io vivo altrove” raccontano che l’autismo è qualcosa di più di un’altra lingua. E’ proprio un altro registro che va a incidere profondamente sulla possibilità di relazionarsi con i “neurotipici”, che saremmo “noi”. Gli altri. Tutto è enigmatico, nell’universo autistico, e questa imperscrutabilità, questo essere diversi intimamente, per davvero e non come rappresentazione di una “diversità” modaiola, rende quella condizione una caratteristica propria della persona. Accettare la diversità con uno slogan è facile e fa sentire buoni. Accettarla quando la diversità si manifesta con urla prolungate, tirate di capelli, oggetti che volano, computer che cadono, con un mutismo imperscrutabile, con stereotipie dei movimenti inspiegabili, beh… diventa terribilmente più faticoso. Ancora di più quando non si riesce a capire la causa scatenante. La storia di Mario, che parlando del figlio Alessio cita i “millenovecentonovantanove modi su come non va fatta una lampadina“ è esemplare di come in questo territorio le variabili siano infinite. Di come, pur partendo dalle conquiste scientifiche che nel tempo ci sono state, ognuno debba comunque mettere in conto un percorso fatto di pazienza e di ripartenza dopo una delusione. Gli strumenti sono aumentati, negli anni, ma poi bisogna saper distinguere e scegliere quelli giusti e comunque la fatica resta sempre sulle spalle della famiglia. Ad esempio, il libro cita il professor Lucio Moderato (Direttore dei Servizi Innovativi per l’autismo di Fondazione Istituto Sacra Famiglia, scomparso a dicembre), come un gigante “capace di riprogettare gli inutili schemi con cui, con sofferenze e danni enormi, si affronta tuttora l’autismo in Italia“.
“Io vivo altrove” non è un testo scientifico, anzi, tutt’altro, è una lettura che Stoppa riesce a rendere alla portata di chiunque. Non era scontato, visto l’argomento. Nelle storie, che non superano le venti pagine ciascuna, ci sono tracce di umanità autentica, e questa è una bella scommessa dell’autore, visto che la “neurotipicità” è sempre più conquistata dalle rappresentazioni stereotipate della comunicazione, più che dall’autenticità. Non ci sono storie strappalacrime o di geni assoluti. Semmai, a margine di storie di vita, ci sono ragionamenti sull’importanza di una diagnosi precoce, sul peso che spesso ricade sulla madre, sul pietismo che prevale sulla ricerca di soluzioni concrete nella pubblica amministrazione, sul senso di solitudine delle famiglie, sul suffisso “terapia” che agganciato a qualunque attività può tradursi in un aggravio del costo, senza un reale beneficio.
Ecco cosa scrive Cristina Finazzi (qui una video intervista a lei e all’autore Beppe Stoppa su Varese news), del Comitato Uniti per l’Autismo, relativamente alla presa in carico di soggetti adulti:
“Al compimento del diciottesimo anno, l’autistico sparisce dai radar. Non c’è infatti un indicatore nel Classificatore Internazionale ICD-10 (una classificazione stilata dall’OMS) in vigore dall’ottobre 2020. L’autistico adulto può solo ambire a essere incasellato tra gli schizofrenici o sparire, smaterializzarsi”.
E a questo si aggiungono i dubbi sull’approccio farmacologico e sull’uso di psicofarmaci antipsicotici che spesso prevale su percorsi psico-educativi strutturati e individualizzati, che non hanno limiti di età (pag. 371) e che possono essere proposti in famiglie o in piccole residenzialità. Nel libro si trovano anche informazioni utili come la “Blu diary”, l’agenda visiva realizzata in collaborazione con la Smemoranda proprio per i ragazzi con autismo, e l’elenco di alcune organizzazioni che si occupano di autismo. La presentazione del libro è del cantante Elio.
(Giampiero Remondini)