Intervista a Teresa Bonfiglio
Quando è maturata dentro di te l’idea e la voglia di fare volontariato?
Evidentemente il vissuto è diverso per ciascuno. Sono cresciuta nell’azione cattolica e fin da piccola ho respirato la spiritualità nella condivisione, che equivale vivere come proprie le esigenze e le aspettative dell’altro. Ho avuto fortuna di fare incontri significativi, con dei veri maestri che mi hanno portata a conoscere me stessa in profondità. Nell’85 con la lettera del cardinale Martini “Farsi prossimo” qualcosa cambiò dentro di me, ma l’idea del volontariato è maturata poco per volta … fino a quando ti accorgi che essere volontaria diventa quasi un modo di essere, un modo di porsi di fronte a se stessi, alla propria vita . Vivi questa scelta come una passione irrinunciabile!
Hai nel cuore un episodio speciale che ti è capitato al Gabbiano?
Si, nei primi anni, 85/86, con i ragazzi della prima ora. Mi ero resa conto che queste persone hanno diversi ambiti di vita e tu diventi un frammento di uno di questi ambiti. Sono davvero speciali: amanti della vita e della gioia. Con loro gioco, canto, faccio musica e a distanza di anni ricordo ancora alcuni episodi tra cui uno di questi: Maurizio Zigliani mi scriveva lunghissime lettere e mi identificava così: “Teresa, tu sei il gioco “, oppure “Tu sei la musica”, o ancora “Tu sei il canto”. Capii che condividendo con loro diventavo gioco, canto, musica! Episodi semplici che ti rimangono dentro. Queste persone hanno una sensibilità accentuata e finissima. Con loro sono cresciuta in umanità e spontaneità.
Cosa ti spinge ancora oggi a continuare con il volontariato?
Credo un senso d’amore, di solidarietà, di giustizia che mi ha sempre portata a stare dalla parte degli ultimi, degli indifesi, dei più soli …
Teresa, cosa vuol dire per te essere volontaria del Gabbiano?
Vuol dire misurarmi sempre sul mio vissuto accanto ai nostri amici cari! Ci vuole umiltà per accostarsi a loro. E’ basilare, fondamentale, mettersi sul medesimo piano, tenere il passo con loro. E’ importante, credo, sia anche la fedeltà, la voglia e il gusto di vivere.
Tu sei credente e vivi la tua Fede con entusiasmo. Cosa pensi quando vedi una persona con handicap?
Mi sento interpellata. Proprio perché nella società di oggi c’è una cultura che esalta la perfezione! Credo che ogni persona sia una meraviglia e vada trattata con delicatezza, con rispetto. Anche perché l’essere umano muta, continuamente dentro e fuori, quindi il concetto di handicap prima o poi può toccare un po’ tutti. E’ importante, non solo per un credente, ma per ogni uomo di buona volontà, il farsi compagni di strada di coloro che vivono sulla loro pelle l’handicap.
Quando è nato il Gabbiano che cosa ti aspettavi e come hai vissuto la sua evoluzione?
L’associazione nacque nell’87 e fu il primo passo. Allora forse noi volontari avevamo poca formazione, ma tanto entusiasmo! Cosa mi aspettavo? “L’esodo”. Mi aspettavo l’esodo del Gabbiano, cioè che andasse veramente verso chi era nel bisogno! Mi aspettavo un futuro carico di inventiva, attenzione, fedeltà per i nostri amici. Poi è arrivato il “Progetto Gabbiano 2000″, per rispondere in maniera più forte ai bisogni emergenti delle persone disabili e delle loro famiglie. Si studia, si approfondisce un progetto tecnico di ristrutturazione e costruzione per un Centro Diurno, un Centro Ascolto e una Comunità alloggio. Tutto questo attraverso un’associazione di volontariato che ha saputo armonizzare i doni di ciascuno, nella propria fisionomia e caratteristica individuale e spirituale, per arrivare a un”Ideale di vita” “di servizio e di gratuità” nei confronti dei più svantaggiati. La finalità del Gabbiano è proprio la cultura della diversità, è la promozione umana, è l’impegno per migliorare la qualità della vita. Mi auguro che Il Gabbiano continui il suo “Esodo “. C’è ancora da pensare al “Dopo di noi”. Bisogna mantenere l’amicizia con i nostri amici. L’amicizia è il bene più grande per la persona, maggiormente lo è per la persona disabile.
Come si fa a convincere una persona che non ha mai fatto volontariato a provare questa esperienza?
lo credo che il volontariato sia un segno dei tempi. I volontari sono un materiale umano, fatto di cuore, di anima, di dedizione, di disponibilità. Il volontariato fa un’azione, un servizio che parte dalla persona e si dà senza che nessuno glielo chieda. La sua è una scelta libera e gratuita. Credo che non si debba convincere, ma solo aiutare le persone a provare. Perché prima o poi arriva il tempo in cui si capisce che si debba fare qualcosa per l’altro! Basta provare anche solo per un breve periodo a divenire volontari e si capirà la bellezza e la gioia di stare insieme!
Perché insoddisfazione e rassegnazione sono così diffuse?
Forse perché manca la gioia al mondo contemporaneo, oppresso da una somma di miserie fisiche, morali che appaiono spesso senza soluzione. Forse perché manca la fede che può essere un aiuto nelle prove, nelle sofferenze che non si possono eliminare nella vita. Allora ci si attacca a dei surrogati che non possono certo appagare le tue attese, le tue speranze, ma solamente alimentare pessimismo, insoddisfazione e rassegnazione. La Speranza di cui parlava Martini è invece costituita da una tensione piena di attesa e fiducia verso il futuro oltre che dalla pazienza di attenderlo.
C’è una canzone di Gaber che dice: “L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé”. Cosa dai e cosa ricevi dalla scelta che fai ogni giorno di avere gli altri dentro di te?
Sentirsi uniti in questa avventura di volontariato sia al Gabbiano sia in altri ambiti per me è fonte di gioia. Il volontario è una persona normale che riceve in misura di quanto dà. Nell’età adulta forse si gusta di più perché ti accorgi che ogni momento è buono per imparare ancora, per arricchirsi al di là dei vincoli posti dall’età e dalle situazioni. Allora si è felici di continuare a giocarsi la vita nella disponibilità al servizio e si va avanti vivendo la tua umanità con la tua storia fino alla fine.
(Giampiero Remondini – Enrico Viandanti)