Nella serata del 12 ottobre presso il Centro Studi Tibetani “Mandala” di via Martinetti 7 a Milano, si è svolta un’interessante tavola rotonda intorno al tema del testamento biologico, ovvero l’indicazione che ciascuno potrebbe lasciare relativamente alle cure cui intende o non intende sottoporsi qualora in futuro fosse in condizioni tali da non poter esprimere la propria volontà. AI dibattito su questo tema, approdato alla ribalta delle cronache nei tempi recenti, hanno preso parte esponenti di diverse confessioni religiose, i quali hanno portato la propria visione sulla questione. La professoressa Anna Rollier, docente di Bioetica presso l’Università degli Studi di Milano e membro della commissione bioetica della Tavola valdese, ha illustrato come la morte sia profondamente cambiata nel corso degli ultimi cinquant’anni: in passato essa era vista come un evento improvviso, indifferibile, spesso prematuro. Ora, con l’allungamento della vita, per l’80% dei casi avviene in ospedale ad età normalmente più avanzate e con cure in grado di mantenere artificialmente in vita i malati, fino ad arrivare a fenomeni comunemente definiti come “accanimento terapeutico” tali da sollevare critiche ed opposizioni da più parti. La convenzione di Oviedo è un importante documento stilato alcuni anni addietro nel quale sono posti molti punti fondamentali riguardanti la bioetica; tra essi si parla anche di direttive anticipate ovvero delle volontà che il paziente esprime in condizioni di intendere e di volere e che “dovranno essere prese in considerazione dai medici” in fase di cure successive. Padre Carlo Casalone, gesuita del Centro San Fedele di Milano nonché medico ed esperto di bioetica, ha ricordato che già oggi la legislazione italiana consente al paziente di rifiutare o accettare cure e trattamenti ed il medico deve adeguarsi alle sue libere determinazioni – perché allora, invita a riflettere il religioso, ciò che è possibile in vita non è possibile scegliere quando la coscienza non è più vigile? – ricordando anche come l’accanimento terapeutico debba essere modulato in base all’insieme di valori cui il paziente fa riferimento. La visione economicista del mondo occidentale porta spesso gli anziani a sentirsi marginalizzati perché non più produttivi, ciò accresce il senso di estraneità e il desiderio di lasciarsi morire se non addirittura di cercare la morte. La Chiesa Cattolica non si è ancora espressa in maniera univoca sull’argomento, ci sono al suo interno posizioni variegate: è infatti di poche settimane fa la dichiarazione di don Verzè, fondatore dell’ospedale San Raffaele, secondo la quale lui stesso avrebbe in passato “staccato la spina” ad un amico sofferente considerando tale gesto un atto d’amore. Padre Casalone ha però ricordato che il testamento biologico, che è ben altra cosa dall’eutanasia legale in paesi come il Belgio ed i Paesi Bassi, deve poter essere sottoposto a modifiche da parte dello stesso paziente, poiché nel tempo la sua percezione potrebbe cambiare, e chi ci dice che nel momento in cui egli abbisogna delle cure che aveva per iscritto rifiutato non le approverebbe pur di tentare di salvarsi? La natura dell’uomo è infatti ambivalente, frutto di una molteplicità di pensieri e sensazioni continuamente mutevoli che il testamento biologico dovrebbe sforzarsi di rincorrere. Il professor Mohsen Mouelhi, della Confraternita sufi Jerrahi-Halvet, ha mostrato il punto di vista islamico sulla materia, premettendo che secondo il Corano la vita è sacra ed il suicidio è uno dei due peccati che Dio non può perdonare. Per la cultura islamica il dolore non è visto come una punizione terrena oppure come un mezzo per guadagnare il Paradiso, ma semplicemente come sintomo di una malattia o di una sofferenza interiore che va curata. La scienza medica, sempre incoraggiata dalla cultura araba nei secoli passati a partire da Avicenna, deve però intervenire con discernimento, occorre infatti “saper morire” e “saper lasciar morire”: nei paesi musulmani la morte è ancora un evento fortemente collettivo cui prendono parte parenti ed amici del defunto, ben lontano da certe pratiche disumanizzanti che si vedono nelle metropoli più avanzate del ricco Occidente.
Ha chiuso la serie di interventi il Lama Paljin Tulku Rinpoce, direttore spirituale del Centro Studi Tibetani “Mandala”, il quale ha esordito dicendo che a suo modo di vedere le religioni non devono imporre il proprio punto di vista su una materia tanto delicata ed il testamento biologico deve essere legalizzato. I buddisti credono nella reincarnazione, la morte è solo un passaggio verso vite successive e tuttavia il suicidio, il darsi la morte è considerato un atto negativo che influenzerà le vite future. Chi dice “voglio morire” vuole veramente morire oppure esprime solamente uno stato di disagio e vorrebbe intendere invece “non voglio soffrire”? Aiutarlo a morire sarebbe in tal caso un errore, bisogna cercare di rimuovere la sofferenza. Bisogna ragionare della morte anche nel corso della vita, senza aspettare all’ultimo di esserne sorpresi e così definire in anticipo le proprie volontà potrebbe essere un’opportunità di affrontare il momento della morte con la pace nel cuore, senza ansie e disperazioni. In sostanza ciascun esponente, pur spiegando la posizione della propria comunità di appartenenza, più che dare granitiche certezze ha aperto densi interrogativi intorno all’oggetto della discussione che solo un intenso ed ampio dibattito tra la popolazione e nel Parlamento potrà colmare, in attesa della ratifica della Convenzione di Oviedo da parte dello Stato italiano e dell’eventuale legge e successivo referendum che da essa scaturiranno.
(Roberto Villa)
Homepage
>
Magazine
>
Post dal 1997
>
2006
>
Il Testamento biologico. Riflessioni delle Comunità religiose