Due nostri amici, Laura e Marco, hanno voluto raccontarci le loro esperienze nel mondo del lavoro. Abbiamo quindi pensato di pubblicare queste storie, in quanto nonostante mettano in rilievo situazioni diametralmente opposte, racchiudono in sè un disagio comune. Da una parte la difficoltà di entrare a far parte del mondo del lavoro dovuta ad una non non disponibilità del lavoro stesso ad adattarsi alla persona invalida. Dall’altra la frustrazione quotidiana di sentirsi parte di un ingranaggio che tiene conto solo ed esclusivamente della produzione di ricchezza portandoci a vivere in maniera frenetica e senza entusiasmo. Il denominatore comune che sembra emergere da queste due esperienze è che il lavoro non rispetta la persona. Il terzo settore, cioè il NO PROFIT, potrebbe andrae incontro alle due esigenze perchè pone la persona al centro, anche se purtroppo sussistono ancora difficoltà nell’impatto con il contesto sociale.
Cari amici del Gabbiano, mi chiamo Laura, ho 29 anni e come la maggior parte dei disoccupati mi sono iscritta all ‘Ufficio di collocamento, e sono stata inserita nelle liste delle categorie protette in quanto invalida. Dopo le superiori, sono stata assunta in una mensa di postini, pur essendo Operatore d’Ufficio. Dopo un anno di faticoso lavoro ho dovuto andarmene, perchè mi veniva richiesto di svolgere con velocità mansioni pesanti per le mie possibilità. Dopo essermi riiscritta, per non restare inattiva, ho frequentato un corso FSE (Fondo Sociale Europeo) all’Enaip, facendo anche tirocini e stage, ma purtroppo il lavoro per me non c’era. Un po ‘ di tempo dopo, sono stata assunta in una ditta poligrafica, un anno dopo quest’ultima si è trasferita, mettendo in cassa integrazione e in seguito in mobilità molti lavoratori compresa me. Mi trovavo al punto di partenza: senza lavoro. Ho saputo che a Rozzano stava iniziando un corso, sempre regionale, con tirocinio rivolto alle categorie protette per cui mi sono iscritta. Nella fase di tirocinio mi hanno inserita come magazziniere in un’azienda di laminati dove la maggior parte dei dipendenti erano uomini. Svolgevo le mie mansioni lavorando al computer secondo me in maniera adeguata, ma purtroppo l’ambiente in cui ero stata inserita era per me ostile rendendomi ancora più difficile l’inserimento nell’azienda. La giornata lavorativa era quindi per me molto pesante e frustrante. In seguito mi veniva dato sempre meno lavoro dicendomi che io non riuscivo a svolgerlo, invece non era vero. Sono stata chiamata negli uffici e non mi è stato più dato alcun lavoro da svolgere. Il giorno dopo, all’incirca all’inizio di gennaio, mi hanno comunicato che il tirocinio era terminato, anticipando la data di scadenza che doveva essere verso fine febbraio per poi sboccare in un’assunzione. Per recuperare le ore che ho perso ho terminato il tirocinio alla Cooperativa “Spazio Aperto” dove intanto veniva fatta una ricerca in varie cooperative per un posto di lavoro che purtroppo non è venuto fuori . Ho 29 anni e sono un po’ stanca di fare corsi e scuole in attesa di lavoro. Questo mio scritto vuole far sapere e capire quanti sono gli ostacoli e i preconcetti che le categorie protette incontrano e devono superare per entrare nel mondo del lavoro.
(Laura B.)
Buongiorno, sono un ragazzo di 28 anni e non so neanche perché scrivo a voi … Ho iniziato a leggere per caso la rubrica che curate su “il diciotto”, un annetto fa, e pur non avendo mai avuto una sensibilità per l’argomento handicap, mi ci sono affezionato e vi ho seguito con attenzione. Il mio problema, ma forse è proprio il caso di chiamarlo handicap, si chiama lavoro. lo ce l’ho un lavoro, sono anche diplomato, e prima che qualche lettore fraintenda, voglio dire che sono perfettamente consapevole che oggi questo va considerato una fortuna.
E allora, mi domando, perchè nonostante la mia fortuna mi trovo spesso a pensare che la mia giornata non ha un gran senso? Poi me la sono data una risposta. Perché nel mio ambito lavorativo l’uomo non è al centro. AI suo posto c’è la produzione. AI centro ci sono telefonate senza rispetto con i clienti, al centro c’è un meccanismo che spinge gli ultimi a darsi le gomitate per mettersi in buona luce con i primi, per un elemosina più abbondante. Un meccanismo fortissimo , che arriva dall’alto, da mani che hanno il potere di darti o toglierti i mezzi di sostentamento. E questo “grande centro” contiene anche un altro “valore” fondamentale: il ritmo , perché … “non c’è tempo da perdere, il tempo è denaro!” . Non ha un gran senso raccontare qui i singoli episodi e nemmeno mi interessa, scusate la franchezza, convincere chi ha deciso che i giovani non hanno voglia di lavorare. Mi interessa rivolgermi a voi del Gabbiano per dirvi che avete ragione: l’handicap può essere anche qualcosa che a prima vista non si vede. Può essere anche la costrizione a passare otto ore della propria giornata, per una quarantina d’anni, a tirare una carretta che non è la tua, che non risponde ai tuoi comandi, di cui non te ne può fregare di meno, e che se.i pure costretto a difendere dagli assalti di uomini e donne che tirano una carretta identica, ma con il piglio di piloti di Formula 1. Penso sovente ad attività nel terzo settore al NO PROFIT. Ne ho sentito parlare grazie anche al vostro articolo dell ‘anno scorso. Lì certo si lavora in modo diverso. Paga poco in termini economici il NO PROFIT, però l’uomo riscopre la fraternità e tutto acquista valore. Si lavora per se e nello stesso tempo si lavora con altri che hanno ritmi diversi. Allora il tempo diventa tempo di impegno proteso a dare davvero valore alla vita.
CIAO e scusate l0 sfogo.
(MARCO P.)