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Imparare a riconoscere i bisogni della persona disabile è fondamentale per garantire il suo benessere. Generalmente i familiari del disabile sono le persone che lo conoscono meglio; con gli anni e la vicinanza hanno appreso quali sono le sue esigenze e come farvi fronte. E’ però importante capire che il bisogno evolve nel tempo; i figli crescono e quello che è andato bene fino ad un certo punto, può da lì in poi non essere più funzionale. Spesso i genitori accettano con difficoltà i cambiamenti. Ma quali sono questi cambiamenti che la famiglia della persona disabile affronta nel tempo? Ripercorrendo il percorso di vita delle famiglie che hanno figli disabili al proprio interno, possono essere individuati delle tappe fondamentali. Il momento in cui si apprende della disabilità del proprio caro è certamente carico di fatica e sconcerto. Può però esserci una differenza a seconda degli incontri che si fanno (medici, specialisti, professionisti ecc.), che possono essere più o meno positivi nell’aiutare la famiglia ad affrontare questa realtà. Tutta la propria vita viene in ogni caso rivoluzionata e messa in discussione dalla scoperta della disabilità. Non è raro che i padri incomincino a dedicare più tempo al lavoro, sia per assicurare maggiori risorse alla famiglia, sia per paura. Le madri sono quelle che in genere si occupano in maniera più diretta dei figli, rinunciando spesso al lavoro e a molto altro. La famiglia trova comunque la propria modalità di andare avanti, sperimentando anche momenti di soddisfazione. Arriva poi il momento dell’inserimento del bambino nella scuola. Si tratta di un momento delicato, in quanto la famiglia si deve confrontare con la società. Ci si sottopone al giudizio altrui, a volte può nascere una competizione con gli insegnanti. Allo stesso tempo però ci si rende conto che si stanno affrontando gli stessi percorsi delle altre famiglie e che si hanno gli stessi diritti. Al termine della scuola dell’obbligo ci si deve poi confrontare con i seguenti interrogativi: chi è mio figlio? Quali sono le sue capacità? Si aprono così percorsi “tradizionali”, come la prosecuzione degli studi, il lavoro ecc, magari da affrontare con qualche sostegno, o percorsi “speciali”, più protetti, a seconda delle esigenze specifiche della persona. Con il raggiungimento della maggiore età, è fondamentale pensare ad un compagno di viaggio dal punto di vista legale. La logica che deve guidarci è quella della protezione ed è meglio non rimandare troppe certe scelte, come la nomina di un amministratore di sostegno o di un tutore, che possono evitare situazioni anche molto spiacevoli. (Di questo tema si parlerà specificatamente nell’incontro del 13 gennaio.)
Siamo così arrivati alla fase della vita adulta. Non sempre questa fase è riconosciuta, o quanto meno spesso è accettata solo in parte (quanti genitori si riferiscono al proprio figlio chiamandolo ancora “il mio bambino”..?)
D’altronde, pensare ai figli che diventano grandi significa automaticamente pensare anche al proprio invecchiamento; ci si rende conto di essere più stanchi, meno brillanti e veloci di prima. Non è raro sentir dire ai genitori frasi come “vorrei che mio figlio venisse a mancare un attimo prima di me”, o “mi ricovererò da qualche parte insieme a mio figlio”. Sono frasi dettate da un profondo affetto per il proprio caro, pensieri espressi con fatica e dolore, perché estremamente doloroso e faticoso è affrontare questi temi. Spesso le famiglie non riescono a immaginare, a concepire fuori dalla famiglia un futuro per i propri figli. L’invito è quindi quello di incominciare a provare a pensare, a credere nella vita del proprio figlio fuori dalla famiglia. Si comincia pian piano, dal tempo libero (tempo libero che serve anche al genitore), dalle vacanze, fino ad arrivare alle esperienze di scuola di vita autonoma e alle sperimentazioni. L’invecchiamento è sì fatto di perdite, ma è vero anche che si invecchia meglio quando per ogni perdita c’è l’acquisizione di qualcosa di nuovo. Il dispiacere di non potersi più occupare del proprio figlio come prima, può essere compensato dall’idea che anche lui ha diritto alla sua vita e che grazie a questo è possibile inventare un rapporto con lui nuovo, più alla pari. La vita fuori dalla famiglia implica accogliere nuovi compagni di viaggio per il proprio caro: persone che non si sostituiranno alla famiglia, ma saranno altro e potranno offrire nuovi stimoli, valorizzando capacità rimaste magari nascoste fino a quel momento. Certo, con l’uscita dalla famiglia si fanno più evidenti aspetti come l’affettività e la sessualità, e con ciò si apre tutta una serie di problematiche, a cui spesso si preferirebbe non pensare. Il confronto con altre famiglie e con le loro esperienze è fondamentale perché consente di darsi dei nuovi punti di vista e incominciare a intravedere delle possibilità che non erano mai state immaginate. Offrire alle famiglie occasioni di incontro e di confronto è proprio uno degli obiettivi del percorso sul “dopo di noi – durante noi” organizzato dall’Associazione “Il Gabbiano – Noi come gli altri”. Il progetto prevede, oltre agli incontri di formazione, la futura costituzione di un gruppo di familiari per discutere e confrontarsi su questi temi esprimendo liberamente i propri desideri e le proprie paure.
Federica Calza