#inviaggiocolgabbiano – IV tappa. Gianni Bianchi è il motore dell’Associazione Amici della Cascina Linterno, attiva dal 1995 per salvaguardare e valorizzare un patrimonio culturale di cui si hanno notizie già nel dodicesimo secolo. Tra gli obiettivi dell’associazione: il “…mantenimento dell’attività agricola e la conseguente tutela dell’ambiente e del territorio circostante“. Ma Gianni è anche un fedele amico del Gabbiano, fin dai tempi della raccolta fondi per la costruzione del complesso di via Ceriani. Anzi da prima. Come succede con le persone autentiche, chiacchierare con lui arricchisce. Ma quello che segue non vuole essere il semplice resoconto di una chiacchierata tra amici. Lui è uno degli interlocutori che abbiamo voluto scegliere per il nostro viaggio (IV tappa) a tema inclusione della disabilità.
Ci interessa prima di tutto comprendere la percezione che hai della disabilità. Tu cosa “avverti” quando incontri una persona che ha un limite evidente o un’autonomia ridotta?
Indubbiamente provo una innata propensione all’aiuto, stando però bene attento a non voler fare il “buon samaritano” a tutti i costi. Ho infatti constatato spesso come le persone disabili, o anche temporaneamente in difficoltà, siano in realtà molto orgogliose della propria condizione e desiderose quindi di affrontare la vita quotidiana “da sole” e senza aiuto esterno. A titolo di esempio, ricordo la straordinaria vitalità, caparbietà e capacità di Rosanna Bonora, tra le prime ad affrontare, ed anche risolvere, le problematiche relative alla disabilità nella nostra zona.
Pietismo e indifferenza sono due enormi ostacoli al riconoscimento di una dignità piena alla persona con disabilità. Come estinguerli dal senso comune? Come favorire un’inclusione sociale che sia effettiva e non solo simbolica?
Domanda difficile alla quale, sinceramente, faccio fatica a rispondere. Il “pietismo” credo sia la prima sensazione che, inevitabilmente, una persona “comune” possa provare verso un’altra persona con disabilità. Difficile, almeno da parte mia, sfuggire all’iniziale atteggiamento di prudenza o di distacco, dettato probabilmente da una sorta di rammarico per il fatto di considerarsi, a torto o a ragione, “più fortunato” di loro. Se questo significa “pietismo”, devo quindi confessare di provarlo, almeno all’inizio. Poi tutto può cambiare, e sicuramente in meglio, nel caso riesca a stabilire un contatto e, se possibile, un dialogo paritetico, come ben espresso nella domanda, basato sul pieno riconoscimento della dignità di tutte le persone, indistintamente se disabili o “normali”, a che dir si voglia.
Bello che tu descriva il tuo percorso. Può servire ad altri. In Cascina Linterno avete fatto qualche attività legata in qualche modo al tema della disabilità?
L’abbiamo avuta in passato, proprio con “il Gabbiano” e fino al 2002, con la Giornata della Solidarietà ed il mitico “panino chilometrico” per la raccolta fondi da destinare alla costruzione della Comunità Alloggio nella ex Canonica della Chiesa Vecchia di Baggio (a proposito di raccolta fondi c’è anche uno spettacolo “I tre moschettieri”, con prove in notturna nell’aia, alla sola luce del faro, della compagnia teatrale del Gabbiano… – ndr). Lo scorso anno ci siamo “messi a disposizione” di ETD (E’ Tutto Diverso) per una intera giornata sul tema “disabilità” e “diversità”. Periodicamente riceviamo visite da parte di associazioni o comunità a vario titolo impegnate nel modo della disabilità riuscendo, ovviamente in stretta collaborazione con gli educatori, a stabilire un primo “contatto” e lasciando poi spazio, più che alle parole, alla bellezza straordinaria non solo della Cascina ma anche del suggestivo Parco delle Cave.
Ambienti lontanissimi dalla frenesia. A proposito, come si può conciliare la spinta a vivere di corsa, consumando, con il rispetto per chi va forzatamente più piano? Pensa al parcheggio selvaggio, per esempio…
Altra domanda alla quale è difficile dare una risposta. Tento quindi di rispondere ricordando uno spiacevole episodio accadutomi qualche anno fa alla Biblioteca di Baggio. Non trovando posto nel “mini parcheggio” di Via Pistoia, posteggiai l’automobile in un modo non propriamente corretto, ostruendo un passaggio pedonale in quanto, a mia superficiale discolpa, “dovevo star via solo pochi minuti”. Al ritorno trovai invece un significativo cartello, scritto a mano e che, in tono perentorio, mi rimproverava del disagio causato ad una persona disabile impossibilitata al transito. La lezione mi è certamente servita, e parecchio, e da quel giorno evito assolutamente di fermarmi, anche per pochi attimi, in spazi di transito o di sosta riservati. Troppo spesso, come giustamente rilevate nella domanda, ci lasciamo invece prendere dalla frenesia calpestando i sacrosanti diritti delle persone costrette ad una forzata andatura lenta. Bisognerebbe, ogni tanto, tentare di “mettersi nei panni dell’altro”, per capirne le necessità. Ma credo purtroppo che l’impresa, pur nobile, non sia assolutamente facile da tradurre in pratica. Parafrasando una celebre canzone degli anni ’70, la “nevrosi è (sempre) di moda” ed è difficile, molto difficile, accorgersene per tempo ed agire di conseguenza.
Spesso la disabilità rende le famiglie isolate e chiuse in se stesse. Cosa può fare il cittadino e cosa possono fare le istituzioni per abbattere barriere che sono anche psicologiche?
Una cosa fondamentale che devono o dovrebbero fare le istituzioni è quella di “aiutare chi aiuta” concretamente, supportando con risorse e mezzi le organizzazioni impegnate nel sostegno alla disabilità e di conseguenza anche le famiglie per il prezioso ed indispensabile “supporto” non solo morale ma, soprattutto fisico. Assistere un disabile, anche se devo dire che la mia esperienza l’ho sviluppata essenzialmente con famigliari anziani o non più autosufficienti, ritengo sia molto faticoso, snervante ed impegnativo, in alcuni casi anche per una sorta di “irrigidimento” dello stesso assistito, che spesso rifiuta la condizione di difficoltà e la conseguente necessità di aiuto.
La disabilità fa paura?
In un certo senso sì, se pensiamo alle condizioni di vita delle tante persone non più autosufficienti a causa di un incidente stradale o per infortunio grave sul lavoro. In un istante la propria vita può infatti cambiare in un modo irreversibile con gravi difficoltà anche solamente per compiere azioni “prima” del tutto facili e naturali. Credo inoltre che la possibilità di mettere al mondo un bambino con problemi motori o cognitivi possa costituire, per i genitori, una forte preoccupazione se non addirittura una vera e propria “paura” per il futuro. Penso anche alla forte apprensione che ogni volta suscitano notizie stampa in merito ad episodi, anche isolati, di meningite o di altre gravi malattie celebrali. Sovente la Famiglia del disabile può seriamente rischiare di rimanere sola ed anche impreparata ad affrontare o a gestire la situazione. In questi casi, credo sia naturale ed umanamente comprensibile che possano prendere sopravvento angoscia ed apprensione, se non proprio il timore di non essere in grado di garantire un futuro sereno ed onorevole al proprio congiunto.
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Alice Arienta: costruire la città del futuro rendendola accessibile a tutti – 13/06/2019