Non c’è più la Fiorella da riaccompagnare alla Piccola Casa del Rifugio, dove abitava, e anche la luce e i colori del tardo sabato pomeriggio in tangenziale, sorprendente come cambiano a seconda delle stagioni, sembrano perdere una sfumatura. Non c’è più la Fiorella e neanche la sua giacca a vento gialla, sapientemente abbinata a un corredo di sciarpa, guanti e cappello di lana bianchi. Fiorella. E quindi una minuscola borsetta color crema, da indossare sempre con la lunga tracolla, che d’estate disegna una diagonale sottile sul vestito e d’inverno si limita a reggere la pochette, che spunta sulla gamba, appena sotto il giubbotto. E poi il fazzoletto arrotolato nella manica, la risata mite e discreta, trattenuta dalla mano davanti alla bocca, come a scusarsi, perché non sta bene. E ancora l’affettuosità leggera e irripetibile della sua carezza. Scappano via, senza che li si possano fermare, vent’anni di Gabbiano, quasi tutti trascorsi prima insieme ad Elena, la gemella, e la madre Anna. Poi alla fine da sola.
E adesso… che differenza abissale tra una parola detta sottovoce, ormai difficile da capire, e questo nuovo silenzio. E’ stato naturale entrare in sintonia con lei e scoprire una volta di più quanto l’handicap non sia una barriera invalicabile. Una parola appena soffiata o uno sguardo interrogativo, un’armonia musicale disegnata con la mano, o la preghierina recitata in macchina. Ecco i suoi lampi di autenticità, ancora vivi e capaci di riconciliare come un tramonto gustato dallo svincolo. Limpidi come l’ora blu, che accoglie quella luce colorata e l’accompagna con naturalezza verso la sera.
(Giampiero Remondini)