L’Associazione “Il Gabbiano – Noi come gli Altri”, ormai da più di 30 anni, accoglie ogni sabato pomeriggio circa 20 persone con disabilità e altrettanti volontari. Questo appuntamento settimanale è più di un’abitudine, in quanto rappresenta un serbatoio di benessere per chi vi partecipa. Da una parte i nostri ragazzi con disabilità possono vivere le dinamiche adolescenziali del gruppo “alla pari”, che ha la funzione di “iniziare i suoi membri alla vita adulta” emancipandosi dalle dinamiche familiari. Dall’altra i volontari rappresentano gli “amici grandi” che accolgono i bisogni di autonomia delle persone con disabilità e che riescono a farli sentire a proprio agio perché si mettono “nei loro panni”. Questa capacità di comprendere il modo in cui l’altra persona vive un’esperienza si chiama empatia. L’empatia è caratterizzata da tre componenti: affettiva, cognitiva e motivazionale. L’effetto motivante dipende dal fatto che condividere l’emozione dell’altro, soccorrendolo, fa provare a chi aiuta uno stato di benessere; viceversa, la scelta di non confortare l’altro porterebbe con sè un senso di colpa. Questo processo rappresenta un percorso virtuoso e ottimale dello sviluppo personale e sociale di una “comunità” come quella del Gabbiano.
Tuttavia le cose non sempre vanno così: a quanti è successo di sentire un “pugno nello stomaco” alla vista di una sedia a rotelle o di un bambino con disabilità? Non tutti riescono a empatizzare coi bisogni dei più fragili, come se, per eccesso di “empatia” si identificassero e facessero propria la fragilità dell’altro. Questo tsunami emotivo può provocare una reazione di fuga o, paradossalmente, anche di attacco della fonte che sollecita queste sensazioni negative, ossia la persona con fragilità.
Questo è quello che può accadere nel bullismo, fenomeno ormai noto che riempie le cronache dei giornali. L’azione aggressiva, tipica del bullismo, è espressione di una frustrazione interna al gruppo, che deve essere scaricata e allontanata da sé verso una vittima esterna, come se, per diverse ragioni, il gruppo veda nell’altro più debole e fragile una minaccia alla propria identità e come un pericolo alla sua stabilità.
Il bullismo è un fenomeno che interessa la fase puberale e adolescenziale e si caratterizza per comportamenti veicolati dal desiderio di intimidire, dominare e umiliare un soggetto più debole. Questi agiti possono essere di tipo verbale (offese, nomignoli, molestie), sociale (pettegolezzi a diffusione di voci), fisico (pugni, colpi, spintoni) e il cyberbullismo (qualsiasi forma di molestia attraverso Internet). L’atto di bullismo però non si limita ai due interlocutori: il bullo e la vittima, ma soprattutto alla dimensione gruppo. Il gruppo infatti può avere la funzione di spettatore silenzioso che osserva, incapace di agire, ma anche di “branco” che amplifica il vortice di aggressività. Nel “branco” si minimizza il peso dell’azione e della “responsabilità individuale”, secondo la logica del “se tutti sono responsabili, allora nessuno è responsabile”. La difficoltà ad arginare questo fenomeno sta proprio nel combattere contro il gruppo, che diventa un soggetto senza nome e che gode della condizione di impunità.
Tuttavia il gruppo non va condannato a priori, perché nel percorso di vita e in particolare nella fase della pubertà e dell’adolescenza ha una funzione evolutiva fondamentale, in quanto facilita la gradualità nel raggiungimento dell’indipendenza dai genitori e permettere la strutturazione di un’identità sociale adulta. Il gruppo ha proprio la funzione di contenitore psichico che definisce “chi siamo”. Alcuni recenti esperimenti, condotti per lo più nel nord Europa, usano il gruppo come strumento di intervento di contenimento degli atti di bullismo. Nelle scuole danesi è stata inserita l’ora di empatia: un giorno alla settimana gli studenti portano dei dolci a scuola e imparano ad ascoltare i bisogni e i problemi degli altri, con la mediazione di un adulto. In questo modo imparano a riconoscere e accettare la propria e l’altrui fragilità. La condivisione fa sì che il gruppo diventi uno strumento di protezione, gli studenti non si sentono soli o presi in giro e possono diluire il loro senso di frustrazione con l’aiuto di un adulto e dei compagni, senza far veicolare questa sensazione negativa in atti aggressivi distruttivi.
Nella nostra esperienza molto spesso incontriamo nelle scuole insegnanti che credono nelle iniziative del Gabbiano per aiutare i loro alunni più “difficili”. L’incontro con la disabilità, in una dimensione di gruppo, rappresenta infatti una sorta di lezione didattica all’empatia. Per tale ragione da 10 anni andiamo nelle scuole per offrire un’esperienza di questo tipo agli studenti e per invitarli alle nostre attività di volontariato, così che possano sperimentare una forma più evoluta e matura di empatia, quella motivazionale, che, come detto prima, consente di entrare in contatto con l’altro senza sentire minacciata la propria identità.
Laura Faraone (psicologa dell’associazione Il Gabbiano: noi come gli altri)