#inviaggiocolgabbiano. Il Gabbiano inizia un ciclo di interviste sul tema della disabilità e del volontariato. Intendiamo raccogliere diversi interventi: da esponenti politici di vari schieramenti a uomini e donne della società civile, da figure religiose a persone comuni. Tutti hanno qualcosa da dire e da insegnare e noi siamo pronti ad ascoltare chi ha la buona volontà e la voglia di mettersi in gioco. Il nostro obiettivo è fare cultura sull’inclusione sociale e valorizzare la disabilità come risorsa, senza atteggiamenti pietistici. Prima tappa di questo percorso: Alice Arienta, consigliere comunale a Milano, eletta nelle liste del Partito Democratico. E’ presidente della Commissione Innovazione, Trasparenza e Agenda Digitale e Vicepresidente della Commissione Sport, Benessere e Turismo.
a cura di Giacomo Marinini e Giampiero Remondini
Ci interessa prima di tutto comprendere la percezione che ha della disabilità. Lei cosa “avverte” quando incontra una persona che ha un limite evidente o un’autonomia ridotta?
Incontro spesso persone con una disabilità evidente o altre con una disabilità cognitiva che è più difficile, sulle prime, da riconoscere. L’istinto mi porta a cercare il modo per dialogare con loro e comprendere i loro bisogni, a sentirmi non migliore ma, anzi, sullo stesso piano in quanto persona. Avere a che fare spesso con la disabilità in fondo aiuta a comprendere meglio tutte le persone. La disabilità fisica o cognitiva è certamente un ostacolo per la vita quotidiana, ma non è forse vero che ciascuno di noi ha i propri limiti più o meno evidenti che siano?
Ha mai assistito a casi di mancato rispetto per la disabilità?
Purtroppo sì. Penso al parcheggio sugli scivoli del marciapiede o addirittura sui parcheggi riservati. Penso alle auto sui marciapiedi che non lasciano lo spazio per le carrozzine.
Spesso la persona con disabilità viene considerata semplicemente “sfortunata”, dimenticando che è prima di tutto portatrice degli stessi diritti degli altri cittadini. Non a caso il legislatore ha previsto le figure dell’amministratore di sostegno e del tutore per rappresentarli. Come si fa a cambiare questa idea pietistica?
Questa idea pietistica è certamente diffusa tra chi non ha una disabilità, ma anche tra i disabili stessi. Io l’ho riscontrata in diverse occasioni. Forse non è politicamente corretto dirlo… però preferisco una risposta non pietistica alla domanda. Un cambio di mentalità è efficace se è fatto tutti assieme: se tu hai una disabilità la società deve metterti in condizione di accedere a un lavoro, di avere una casa, di muoverti in maniera autonoma, di praticare sport, di andare in vacanza. E se questo non avviene tu disabile hai il sacrosanto diritto di protestare e di pretendere il riconoscimento di un diritto. Ma allo stesso tempo, una volta create le condizioni, allora anche il disabile deve abbandonare la considerazione “pietistica” di sé. E’ un retaggio che arriva da lontano che ci riguarda tutti.
Ci sono tante modalità per la società civile e per le Istituzioni di non rendere una persona con disabilità un cittadino di serie B. Vuole farci due esempi concreti?
Prima di tutto bisogna rendere accessibili i luoghi della nostra città. Dobbiamo ad esempio stanziare risorse per gli ascensori, che tutti possono usare a differenza delle scale mobili. Tutti devono poter accedere alle strutture sportive, alla scuola… l’obiettivo deve essere l’accessibilità universale. Poi serve anche un investimento in formazione: a volte c’è un timore, quasi paura della disabilità, come fosse contagiosa. E invece no, invece la persona con disabilità è “unica” esattamente come ciascuno di noi è “unico”. Il secondo aspetto è più culturale: dobbiamo lavorare tutti per abbattere i pregiudizi perché ognuno ha qualcosa da insegnare, da raccontare. Qualcosa di bello. Solo i bambini sono immuni. A scuola vedo bambini normodotati che giocano e interagiscono con bambini down. Questo scambio produce una grande ricchezza, questa è la normalità senza pregiudizi.
Come immagina una città del futuro capace di includere la disabilità? E, nel caso, come realizzarla?
La città del futuro è una città capace di includere tutte le disabilità. E’ la città che permette l’accesso universale alle persone con disabilità psichica e fisica, ma anche alle persone con disabilità fisiche temporanee. La metro lilla ad esempio va in questa direzione. L’accessibilità alla comunicazione è un altro aspetto importante: un ipovedente o un non vedente deve essere messo in condizione di muoversi in città. Così come le mamme che si muovono con le carrozzine, così come gli anziani che nei prossimi anni aumenteranno di numero. L’accesso universale rende meno soli. La solitudine è un vero dramma per chi ha un limite, qualunque esso sia: rendendo più facile la mobilità renderemmo più facile anche la vita sociale. Un centimetro di dislivello non controllato bene dopo un lavoro pubblico, per esempio lo scivolo di un marciapiede, può cambiare in peggio la vita di una persona.
Servono investimenti, ma non solo quindi.
Servono investimenti, ma serve anche cultura. Chi fa un lavoro di quel tipo deve sapere che deve rispettare la “norma”, certo, ma più ancora deve pensare alla persona che userà quel servizio. L’accesso alla città non deve essere “per norma”… ma per la persona.